
Conseguenze della pandemia sui contratti di locazione commerciale. La buona fede come fondamento dell’obbligo di rinegoziazione. Quali parametri?
Trascorsi sette mesi dall’adozione delle misure di contenimento della pandemia e circa quattro mesi dalla fine del c.d. lockdown si registra un contrasto giurisprudenziale, che rispecchia del resto le differenti opinioni dottrinali emerse all’indomani dei provvedimenti governativi, in ordine alle ripercussioni dell’emergenza pandemica sul contratto di locazione commerciale ed in particolare circa la possibilità per il conduttore – tra i rimedi concessi dall’ordinamento in ipotesi di sopravvenienze perturbative dell’originario sinallagma contrattuale – di ottenere una revisione del contenuto del contratto e, per essere più precisi, una riduzione del canone di locazione.
Peraltro, l’analisi degli orientamenti giurisprudenziali non appare indicativa o, meglio, esaustiva, in grado cioè di poter efficacemente orientare l’interprete e permettere una previsione dell’esito della controversia, trattandosi di provvedimenti d’urgenza ovvero cautelari emanati in una fase che di fatto è ancora emergenziale. È tuttavia possibile riscontrare, soprattutto nella prima fase di lockdown, un atteggiamento prudenziale della giurisprudenza, per lo più motivato dalla situazione e dal quadro normativo in continua evoluzione, che è alla base dei provvedimenti con i quali, per esempio, accogliendo la domanda cautelare si è evitato il verificarsi di effetti pregiudizievoli che sostanzialmente avrebbero avuto il carattere della definitività.
È di tutta evidenza, pertanto, che la tematica delle conseguenze della pandemia sui contratti di locazione commerciale non possa essere affrontata limitandosi al riscontro del dato giurisprudenziale, non univoco e frammentario. Fondamentale è tuttora il dato normativo e la conseguente, opportuna quanto necessaria, rigorosa interpretazione sistemica.
A tale proposito si segnala un utile contributo fornito dalla Corte di Cassazione mediante la “Relazione dell’Ufficio del Massimario dell’8 luglio 2020 n. 56” che esamina gli istituti tradizionali, tra cui l’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità sopravvenuta, alla luce del diritto emergenziale, ricercando i rimedi effettivamente praticabili a fronte delle sopravvenienze determinate dalla pandemia in ambito contrattuale. Non si stenta, infatti, a credere che tale contributo possa orientare l’interprete e le future decisioni della giurisprudenza.
Per quanto di interesse ai fini della presente trattazione, la Relazione esclude che il legislatore emergenziale abbia coniato nuovi rimedi alle ripercussioni provocate dalle misure di contenimento della pandemia sull’esecuzione dei contratti di durata in genere.
L’assunto è condivisibile: l’art. 91 del D.L. n. 17/2020 (c.d. decreto “Cura Italia”), convertito in Legge n. 27/2020, prevedendo che il giudice valuti in che misura l’inadempimento o il ritardo siano causati dalla necessità di rispettare le misure di contenimento, non prevede né consente nessun abbuono o riduzione dei canoni.
Fermo restando l’onere per il conduttore di dimostrare che sia stato l’ossequio alle misure di contenimento ad aver impedito il pagamento del canone, la norma consente unicamente di ritenere temporaneamente giustificato l’inadempimento, per cui l’obbligazione del conduttore resta immutata e tornerà ad essere dovuta alla cessazione delle misure restrittive.
Solamente con riferimento a determinati tipi di locazione, quelli per palestre, piscine e impianti sportivi, il legislatore ha inteso espressamente ritenere giustificati i mancati pagamenti protrattisi anche dopo la cessazione delle misure anti Covid, riconoscendo il diritto ad una riduzione dei canoni per le mensilità da marzo a luglio 2020 (art. 216, comma 3, D.L. n. 34/2020).
Secondo qualche interprete, la previsione espressa dell’art. 216, comma 3, D.L. n. 34/2020 confermerebbe la circostanza che per i rapporti di locazione diversi da quelli previsti dalla norma il pagamento dei canoni di locazione sia dovuto, anche per i mesi di c.d. lockdown, per i quali del resto è stata prevista una misura di sostegno consistente nel credito d’imposta pari al 60 % del canone di locazione. Lo stesso art. 65 del decreto c.d. “Cura Italia”, concedendo crediti d’imposta per esborsi degli imprenditori la cui attività è stata inibita, implicherebbe, sempre secondo tali interpreti, che per il periodo di emergenza il canone è dovuto.
I possibili rimedi alle sopravvenienze causate dall’emergenza pandemica sono quindi da ricercare nelle disposizioni dell’ordinamento.
Per quanto riguarda i rapporti di locazione ad uso commerciale, oggetto della presente trattazione, la stessa Relazione riconosce un ridotto se non nullo spazio operativo alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta: “questa sembra avere agio solo quando l’emergenza epidemiologica rende la prestazione dedotta in negozio completamente e definitivamente ineseguibile o inottenibile”.
Durante il lockdown non vengono meno le prestazioni del locatore, precedentemente assolte, né tanto meno quella del conduttore, posto che le obbligazioni pecuniarie, in virtù del principio secondo cui genus numquam perit, non divengono mai impossibili, pur potendo solo soggettivamente e temporaneamente risultare inattuabili.
Appare difficile pertanto – si legge nella Relazione e si condivide – ricondurre i contratti di locazione, anche di beni produttivi, nell’alveo applicativo dell’art. 1464, “dal momento che la prestazione di concessione in godimento rimane possibile e continua ad essere eseguita quand’anche per factum principis le facoltà di godimento del bene risultino momentaneamente affievolite. Nel contratto di durata, la prestazione del locatore continua ad essere resa benché l’utilità che il conduttore ne ricava sia allo stato depressa. Fare perno sulle disposizioni in materia di impossibilità sopravvenuta per smarcare in tutto o in parte il locatario dal pagamento del canone vuol dire correggere l’alterazione dell’equilibrio contrattuale, dislocando una porzione delle conseguenze finanziarie del Covid da una parte all’altra del contratto, ma sulla base di una considerazione che appare ispirata al buon senso, più che al rigore giuridico”.
Secondo la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, “può in linea di principio richiamarsi il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), secondo cui il contratto è suscettibile d’essere risolto quando la prestazione, per il verificarsi di “avvenimenti straordinari e imprevedibili”, è diventata per una delle parti “eccessivamente onerosa” avuto riguardo al rapporto di scambio consustanziale alle originarie pattuizioni intercorse”.
Tuttavia, si avverte che “la causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta deve rivestire il carattere della generalità: non è sufficiente una mera difficoltà rivelatasi esclusivamente nella sfera del singolo, occorrendo una situazione operante presso qualsiasi debitore e tale da modificare il valore di mercato della prestazione”.
Peraltro il rimedio è volto a rimuovere il vincolo contrattuale, non a riequilibrare il sinallagma, e certamente non conduce, né direttamente, né nell’immediato, ad una transitoria riduzione dei corrispettivi, soluzione che può conseguire solo in un secondo momento su iniziativa del locatore convenuto in giudizio che può offrire un’equa modifica delle condizioni contrattuali.
In ogni caso, come bene si precisa nella Relazione, l’eccessiva onerosità sopravvenuta va necessariamente esaminata in base al “valore di mercato della prestazione”. A tal proposito, anticipando ciò che si dirà in seguito con riferimento all’obbligo di rinegoziazione basato sulla buona fede oggettiva, la verifica dell’eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta non può che condursi sulla base della causa concreta del contratto di locazione, mettendo a confronto le prestazioni del conduttore e del locatore. Se così è, il mutato valore di mercato della prestazione, fondamento del rimedio civilistico di cui all’art. 1467 c.c., non può certo trarsi dalla minore redditività, parametro che non solo risulta prettamente soggettivo, ma che certamente non costituisce il criterio sulla base del quale le parti hanno determinato il canone di locazione, non avendo mai il locatore, all’atto della stipula del contratto di locazione, inteso concorrere al rischio d’impresa (a differente conclusione evidentemente può semmai pervenirsi avuto riguardo, anziché alla locazione, all’affitto d’azienda).
Al di là della soluzione contemplata dall’art. 1467 c.c., la Cassazione – nella Relazione dell’Ufficio del Massimario – ritiene che la norma, “nel dare risalto normativo agli eventi straordinari e imprevedibili che sconvolgono l’economia del contratto e nell’assegnare rilevanza all’assetto economico fra le prestazioni”, configura “un principio generale di preservazione dell’equilibrio del contratto, per cui lo scioglimento del negozio è, sì, un possibile sviluppo, ma non l’unico: la norma dispositiva è derogabile, prima ancora che per volontà delle parti, dalle norme imperative nel cui novero si iscrive il precetto che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).
Alla premessa segue quindi la conclusione: la portata sistematica della buona fede oggettiva nella fase esecutiva del contratto postulerebbe la rinegoziazione come rimedio alle sopravvenienze.
Orbene, anche a voler ammettere, assecondando il pensiero espresso nella autorevole Relazione in commento, un obbligo di rinegoziazione fondato sul generale dovere di buona fede e riferito alla sopravvenuta ed imprevedibile sospensione dell’attività commerciale svolta dal conduttore, non possono certamente imporsi al locatore criteri e parametri che non sono stati presi in considerazione al momento della stipula. In altre parole, non avendo il locatore mai accettato di concorrere al rischio di impresa, non si vede per quale ragione dovrebbe acconsentire, poi, ad una riduzione del canone basata sulla minore redditività conseguente all’emergenza pandemica. Il locatore semmai potrà e dovrà rendersi disponibile a verificare la percorribilità, nel caso concreto, delle misure di sostegno varate dal legislatore emergenziale, acconsentire ad una dilazione di pagamento, potendo valutare la rinegoziazione della misura del canone solo a fronte di una consistente variazione del valore di mercato della prestazione a suo carico.
Alla luce della superiore considerazione, appare opinabile una recente decisione del tribunale di Roma, cui è stato dato risalto su alcuni giornali, che ha accolto la domanda cautelare del conduttore, tesa a ridurre i canoni di locazione, disponendo una riduzione del 40% per le mensilità di aprile e maggio, e del 20% per quelle da giugno a marzo 2021. Tale riduzione, infatti, appare disposta, seppur in via cautelare, solamente in base alla circostanza che “si sono verificate delle perdite nette dei ricavi (…) rispetto al corrispondente periodo di gestione dell’anno precedente”. Tuttavia, come detto, i ricavi del conduttore non possono assurgere a parametro della rinegoziazione del contratto, se non altro perché non hanno mai costituito il presupposto delle originarie pattuizioni. Senza considerare che il canone di locazione è il corrispettivo della messa a disposizione dell’immobile e, come detto, il locatore lo ha pattuito, peraltro tenendo presente una durata temporale, non intendendo certamente concorrere al rischio di impresa o, meglio, non considerando la redditività che avrebbe avuto l’attività commerciale svolta dal conduttore nell’immobile locato.
In conclusione, anche laddove si giunga ad ammettere la possibilità di un intervento eteronomo del giudice di integrazione del rapporto di locazione – ed in ogni caso laddove si ritenga sussistente un obbligo di rinegoziazione – i criteri atti a ristabilire l’equilibrio negoziale, sempre che si dimostri alterato, debbono ricercarsi necessariamente entro il perimetro della causa in concreto, non potendo far ingresso ulteriori valutazioni diverse da quelle che le parti hanno inteso svolgere al momento della conclusione del contratto di locazione. In tal modo, peraltro, si scongiurerebbero arbitrarie percentuali di riduzione.
17 settembre 2020
Avv. Michele Basile